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La leggenda dell’invenzione del cannolo ha due versioni perfettamente speculari, quasi due estremi, che in un certo senso si toccano e si rivelano facce di una stessa medaglia. Perché, diciamolo, uno se lo chiede, ma a chi caspita può essere venuto in mente di riempire una scorza profumata di arancia con un composto di spumosa ricotta lavorata con lo zucchero? Il cannolo è senz’altro frutto dell’estro femminile, di un incontro, del desiderio di stupire, della sperimentazione fantasiosa davanti ai fornelli, dell’operare nell’ombra, lontano da occhi indiscreti, come di chi prepara pozioni magiche…
 
Secondo la prima versione, il cannolo vede la sua luce, in quest’abbinamento azzardato durante la dominazione araba a Caltanissetta c’era l’harem di un emiro saraceno (l’antico nome arabo della città, Kalt El Nissa significa appunto “Castello delle donne”): qui le donne trascorrevano il tempo a inventare dolci per deliziare l’emiro. In uno dei tanti esperimenti culinari provarono a imitare un dolce arabo ripieno di ricotta, mandorle e miele, che nella forma ricordava una banana. Il cannolo fu una specie di tentativo ben riuscito.
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L’altra leggenda parla sempre di Caltanisetta e di donne, ma questa volta è ambientata in un convento. 
Durante un carnevale le suore pensarono di inventarsi un dolce ricco e ridondante, una scorza di farina seccata ripiena a non finire di ricotta zuccherata e zuccata: nasce così il cannolo. la ricotta, viene arricchita da punti di colore, perché si sa, il siciliano, in pasticceria, non si risparmia, ecco allora scaglie di cioccolata e frutta candita.

Ed ecco la mia versione dell’invenzione del cannolo, nella quale le due leggende si incontrano. Ne ho già parlato qui, in 101 storie sulla Sicilia che non ti hanno mai raccontato, perché, secondo me, il cannolo, buono per com’è, può solo unire. Quando i saraceni lasciarono l’isola, molte donne dell’harem, finalmente libere, si convertirono al cristianesimo e decisero di finire i loro giorni in convento. A quel punto, però, le ex concubine non sapevano bene come conquistarsi la fiducia delle consorelle, perché per troppi anni avevano dovuto guadagnarsi con la loro malia la sopravvivenza. Perché, diciamolo: ma a chi caspita può essere venuto in mente di riempire una scorza profumata di arancia con un composto di spumosa ricotta lavorata con lo zucchero?
 
All’inizio la convivenza non fu facile: a causa dei loro percorsi umani troppo diversi.
 
Alle suore era richiesto uno sforzo di comprensione in più: dovevano aprirsi, rispecchiare il loro animo in quello di altre donne che avevano condotto esistenze lontane dalle loro. Ma quella distanza, un giorno, venne colmata. Davanti ai fornelli, impastando, mischiando, zuccherando, gomito a gomito, prima le domande furono timide, poi più sfrontate: «Ma tu cosa ci metti nel cannolo? E la ricotta, come la lavori?». Secondo me trovarono un punto d’unione scambiandosi ricette e piccoli segreti, come la perfetta riuscita del ripieno del cannolo, che raggiunge il suo apice di bontà in primavera: l’erba brucata dalle pecore diventa fondamentale perché nel suo profumo, nella sua freschezza, che sa di campi e sole tiepido, risiede la qualità del loro latte, la base per la ricotta.
 

 

Di pasta con le sarde ne ho assaggiati diversi piatti nella vita, fuori dal suo entourage di appartenenza, ovvero l’Isola sicula. Pure a Roma e una volta persino, e dico persino, a Milano.

Gli ingredienti quelli sono, se trovi un pusher che ti fa avere del finocchietto selvatico sei salvo, puoi farcela, dico a voi, nordici, pure se non siete siciliani, avrete un mercato del pesce, una rivendita di pesce, da qualche parte in città, potete farcela, non disperate.

Ma c’è una pasta con le sarde che non ha eguali al mondo ed è quella che cucina mia madre. Voi direte, ha un ingrediente segreto? E io dico no, non ce l’ha. Allora, dicci: è particolarmente accurata e lenta nella preparazione? E io dico no, è una scheggia, si muove fra i fornelli alla velocità della luce, ha sempre mille faccende da spicciare, e allora a questo punto indagherete: sussurra forse mantra amorevoli mentre amalgama gli ingredienti? No, si lamenta semmai e parla al cellulare.

Allora, come mai la pasta con le sarde di mamma gambina è così favolosa? Perché lei, si alza una mattina e dal nulla, come se fosse un ordine calato dalle alte sfere, compone il suo pensiero: domenica faccio la pasta con le sarde. Poi si attacca al cellulare, e numero dopo numero, chiama tutti i figli annunciando la lieta novella: domenica cucino la pasta con le sarde. L’annuncio è serio, dichiarato con voce grave e pacata. Dopodiché comincia ad allertare mio padre, dicendo “domenica vengono i tuoi figli e gli dobbiamo fare trovare la pasta con le sarde” Lei dice proprio così: trovare, come se si trattasse di un tesoro da scovare dentro una caverna.

Mio padre, in evidente stato di emergenza, una mattina si alzerà prestissimo e andrà al mercato del Capo e sceglierà dallo stesso banco, quello che conosce da 20 anni, le sarde fresche per la sua prole.

Mia madre, prima di cucinarle, le spinerà lungamente; sa che io le spine del pesce le detesto e mentre lo fa ripeterà: “Daniela non le sopporta le spine”, come a darsi coraggio e arrivare in fondo, fino all’ultima spina.

Poi io mi siederò e la mangerò distratta, quella pasta, e guarderò la tv e litigherò con mia sorella o mi lamenterò del lavoro e magari dimenticherò di chiedere il bis. Lei forse ci resterà male, o forse no.

Me ne andrò sapendo che lei mi richiamerà, fra una settimana o due. E io avrò la pasta. Quella pasta. Preannunciata dalla stessa chiamata.

Ecco perché, ora e per sempre, la pasta con le sarde di mia madre è e sarà la più buona del mondo.


 

Ma un suono più struggente, di quello prodotto da un pianoforte, lo conoscete?, più robusto, coinvolgente, incisivo, per certi versi cristallino, brioso, prodotto da un strumento musicale, così regale ed evocativo, come una rondine in volo (a me sì, la forma del pianoforte a coda mi ha sempre ricordato questo), che si poggia un istante, in angoli della mia città.

Se cercate un altro motivo per visitare Palermo eccolo qui.


 
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